Amici che mi seguono.

martedì 18 aprile 2023

L'ascensore. (Racconto inedito)

 


L'ascensore. 

Di Francesco L. P. 023


Tony rincasa di notte, sono le 3 passate. È stanco, ha finto di ballare in discoteca per rimorchiare e ora vuole solo stendersi sul letto.

Prima di inserire la chiave nella toppa del portone si è accorto di stringere ancora in mano la bottiglia di Coca Cola che gli hanno passato fuori dal locale.

La guarda con un moto di disgusto. È quasi vuota.

La getta via.

Inserisce la chiave, gira, entra.

Il portone rovinato si richiude molto lentamente alle sue spalle. 

Non si chiama Tony, ovviamente, ma Antonio. Solo che non gli piace, dice che non funziona, così se lo è cambiato. 

Il palazzo in cui abita ha le mattonelle verdi e un cattivo odore. Di fronte c'è la guardiola in disuso del portiere e due ali di condomini ai lati.

Non è un bel posto in cui vivere, ma non sempre si può scegliere, nella vita.

Sbadiglia a bocca aperta e gira per la scala "A", dove abita lui: a sinistra, per convinzione politica, scherza sempre.

La luce è bassa, alla destra della porta dell'ascensore ci sono delle scale che scendono giù, nel buio. Non è mai andato a vedere cosa ci sia, ma adesso le trova inquietanti. 

Preme il pulsante di chiamata e attende, fissandosi la punta delle scarpe da ginnastica.

Nel condominio incontra sempre qualcuno, è una zona popolare, anche alle prime luci del mattino, ma adesso non c'è nessuno. Tutto tace, una lampadina ronza in lontananza e poi si spegne.

Guarda avanti a sé, qualcosa lo fa stare in agitazione. 

Ha bevuto? Può essere, ma adesso non se lo ricorda più.

L'ascensore arriva al piano.

Meno male. 

Tempo fa hanno fatto una riunione per decidere se mettere o meno un sistema di video sorveglianza all'ingresso e su tutti i piani, ma la maggioranza ha deciso di no.

Tanto lui non ci era andato.

L'ascensore si ferma al piano, tutto illuminato. 

Afferra il pomolo e lo gira.

Un momento.

Guarda dentro.

C'è qualcosa di strano. 

La cabina è occupata. Ha tirato giù qualcuno dai piani superiori e manco se ne è accorto!

Apre.

Deve essere qualcuno più bevuto di lui.

All'interno dell'ascensore c'è una ragazza; Tony fa un passo in avanti per osservarla un po' in imbarazzo, ma sta voltata con la testa al muro e le spalle strette, come in castigo.

Tony non sa che fare! 

Avanza un po': vede che la ragazza indossa un vestito logoro, ha i capelli lunghi e sporchi, sembra tremare.

«... tutto bene?» dice lui con un pallido sorriso che gli illumina la faccia smunta; «... ho visto che l'ascensore era libero e l'ho chiamato!»

Nessuna risposta.

«Scusa!»

È abituato a queste stranezze, la zona in cui abita non è delle più chic. 

Sospira, si fa avanti e entra nella cabina. Fa attenzione a non sfiorare nemmeno quella figura di spalle. 

Si gira con un buffo movimento e richiude prima il cancello e poi le due porte in legno dell'ascensore. 

La ragazza è muta nell'angolo. Respira irregolarmente, facendo un brutto verso. 

Non gli piace. Neanche un po'. Forse dovrebbe chiamare qualcuno, ma è troppo stanco e annebbiato. 

E poi è meglio non impicciarsi in certe cose, che sa come vanno a finire!

Allunga una mano verso la pulsantiera, poi tentenna: «Vado al quarto piano, tu che fai...?»

Lei muove appena un po' la testa, lui allunga il collo per scorgerla, ma non ci riesce.

«... il secondo...» mormora la ragazza.

Finalmente! Tony rotea gli occhi al cielo e poi preme sul pulsante numero 2, sentendosi più sollevato. 

La salita pare non terminare mai, i normali rumori dell'ascensore in elevazione adesso gli danno delle macabre sensazioni. I piani deserti e oscuri scorrono danzando davanti ai suoi occhi.

Poi la cabina si arresta dondolando.

«... sali subito al tuo piano, senza fermarti...» sussurra la ragazza di schiena. 

«Scusa?» fa lui. 

«Vattene subito di qui.»

Tony accelera i movimenti, senza neppure sapere il perché: spalanca le porte, apre il cancello e fa uscire la giovane, che si muove rasente le pareti dell'ascensore, per continuare a non mostrarsi. 

Quindi si arresta di fronte a una porta. 

Tony osserva: strano, non l'ha mai veduta prima, ma lì è un via vai di stranieri e di appartamenti subaffittati anche per un solo giorno.

E poi non sono affari suoi.

Richiude il cancello e afferra le maniglie delle due porte.

La ragazza si scuote, i tremori sono più forti. Fa dei versi gutturali, tipo qualcuno che soffoca.

Tony non richiude le porte, anzi: si avvicina al cancello, quasi lo sfiora col naso.

«Oh, ma sei sicura di stare bene...?» chiede, come se le parole non fossero sue. 

La ragazza si scuote, i tremori sono maggiori, più evidenti.

Tony arretra. Adesso ha paura, un terrore ancestrale. 

La ragazza si volta di scatto attaccando l'ascensore: ha la faccia sporca di fango e muco, gli occhi sono fessure arrossate che gocciolano sangue scuro, la bocca è troppo larga per essere normale, e quei denti... Dio, ogni dente è una zanna di lupo!

Tony sente che si sta per pisciare addosso. 

Solleva le braccia per fare qualcosa ma sono troppo pesanti, sembra non gli appartengano più. 

Lei intanto ha morso la gabbia del cancello con forza, il suo naso si scortica nel tentativo, una zanna rimane incastrata nelle maglie e poi si spezza, facendola sanguinare dalle gengive sproporzionate; Tony si tocca un labbro, paralizzato, poi colpisce il cancello con un calcio, ma la donna arretra solo per un istante, poi torna ad aggredire l'ascensore. 

Qualcuno adesso li sentirà, no? Usciranno ad aiutarlo.

Deve per forza andare così. 

Ma non succede.

Ora la furia di lei è senza controllo, il sangue che perde dalla bocca intacca il cancello e scorre in basso, dappertutto, sugli ingranaggi bassi dell'ascensore, che si vedono dalla fessura prima del piano.  

Tony si riprende: si volta verso la pulsantiera, lei continua a mordere il metallo.

Lui preme a caso alcuni pulsanti in alto, ma ne tocca due contemporaneamente e non succede niente.

La porta è aperta. Deve chiudere la porta!

L'essere che ha di fronte inizia a battere furiosamente con i palmi delle mani, emettendo strani ruggiti, poi inizia a tentare di afferrare la maniglia del cancello, ma con le porte aperte esso si è bloccato e non si apre.

Allora Tony scalcia il cancello e poi chiude le porte: deve fare tutto in un baleno, o lei riuscirà a entrare. Scalcia, chiude, preme.

L'ascensore ronza e poi si solleva, tirando in alto i tre cavi d'acciaio. 

La cabina si scuote durante la salita. 

Ma che pulsante ha premuto? Non lo sa. Non ricorda.

Si alliscia i capelli dietro la nuca, con un gesto dettato dal nervosismo, quindi vede il suo piano sfilare e poi perdersi là in basso.

Che coglione! 

Sì, vede sfilare come lucciole attorno a una lampadina tutti e otto i piani, tra poco sarà arrivato all'ultimo: ma che fare? 

Prende il cellulare che ha in tasca: non riesce a sbloccarlo perché gli tremano le mani; sente correre forsennatamente su per le scale.

È lei.

Preme allora l'indice sul pulsante Home. L'ascensore intanto fa un balzello e si arresta. La spia diventa verde.

Potrebbe aprire nuovamente le porte e rimanere così, in attesa di chiamare aiuto col telefono, pensa un po' inebetito, oppure scendere di un mezzo piano e poi premere il pulsante di stop. O quello di emergenza! Non sa cosa fare, la realtà è che il panico si è impossessato di lui.

Ma perché non è sceso invece di salire? Da lì sarebbe corso all'ingresso e poi in strada! No, troppo vicino al secondo piano, lei lo avrebbe raggiunto subito.

Si passa una mano davanti alla fronte e poggia la nuca sulla radica fredda della cabina, chiudendo gli occhi.

Forse smetterà di cercarlo, le ha detto di stare andando al quarto piano, probabilmente si metterà a scorrazzare là e poi la farà finita, credendolo al sicuro a casa sua!

Ma non può esserne sicuro. 

Quel che sa è che se lei nota l'ascensore occupato continuerà a salire quelle scale per dargli la caccia. 

Respira forte, i polmoni gli fanno male. 

Apre delicatamente le portiere e quindi il cancello, tentando disperatamente di non fare rumore. L'ascensore scricchiola come una vecchia parente su di una sedia a rotelle.  

Decide di respirare con la bocca. Mette un piede fuori dall'abitacolo dondolante. 

Nei pianerottoli non si sente alcun suono. Ha il sudore gelido che gli si sta asciugando sul collo. 

Fuoriesce e poi accompagna porte e cancello appoggiandovisi sopra, la spia prima indica "occupato" e poi "libero". 

Si tocca il petto: ora gli viene un infarto. 

Ne ha già avuto uno ma non ne parla mai, è troppo giovane per un infarto.

Deve solo essere stata sfortuna.

Si passa la lingua sulle labbra secche. Come gli appare lontana la notte in discoteca e i due di picche che ha preso dalle tipe. Tutto senza un perché, senza un valore. 

E se lei vede a che piano è sceso dal display grossolano? Porca puttana! Si affaccia sulla tromba delle scale. In lontananza avverte un gocciolio, ma non sa ricondurlo a una motivazione.

C'è e basta. Denso, lontano. 

Sale a piedi le poche scale che lo separano dalla porta del terrazzo, c'è stato un mucchio di volte a farsi le canne.

Sale e gira la maniglia: chiusa a chiave!

Batte la fronte su di essa; maledetta vecchia del primo piano, che pensa che tutti gli sbandati della zona vadano a dormire proprio su quel terrazzo! Maledette le vecchie di tutto il mondo!

Si volta e siede sugli scalini: l'angolo lo protegge un po', facendolo sentire meglio. 

Afferra il telefono cellulare e lo sblocca con maggiore calma: compone il 113.

Dall'altra parte una voce asettica lo colpisce come un pugno allo stomaco.

Lui gli spiega la situazione nella maniera più calma e razionale possibile. Non parla di zanne e di occhi che lacrimano sangue, solo di una pazza furiosa che lo ha aggredito dandogli la caccia. 

Dall'altra parte del telefono lo rassicurano, arriveranno presto. Deve solo rimanere tranquillo e non dare modo alla "persona" di metterlo nuovamente in una situazione di pericolo.

«"Presto" quando? Che vuol dire "presto"?»

«Cinque minuti al massimo.»

Riattacca, sconsolato. 

Dalle scale arriva una specie di grugnito infastidito, passi veloci e un lamento latrante che non ha nulla di umano. 

Si passa una mano sulla ciocca di capelli ancora umidi; il gel si sta sciogliendo. 

Il telefono oscilla inutile contro una coscia ripiegata sugli scalini. 

Lui non sa se ha cinque minuti. 

Poggia la testa sul legno graffiato della porta e attende.

Nessun commento:

Posta un commento